E. donna di 60 anni affetta da Parkinson da circa 10 anni si è presentata da me per un problema di equilibrio. Arrivata in studio chiedo i dati sul suo disturbo, inizio a valutarla osteopaticamente e studio come impostare il trattamento. E. si è presentata in condizioni di estrema rigidità e precarietà dal punto di vista dell’equilibrio, lamentando frequenti cadute e dando l’impressione di dover compiere sforzi enormi per coordinare tutti movimenti quotidiani. Nonostante tutto la cosa positiva è che per sua decisione ha sempre rifiutato la malattia, facendo tutto ciò che la potesse aiutare a conservare le proprie funzionalità. Fisicamente da sempre va in palestra, pratica cross-walking ma si stanca molto dovendo poi rimanere inattiva per diverso tempo. Il mio pensiero è stato quindi che il trattamento non dovesse essere troppo invasivo perché doveva apportarle giovamento senza tramutarsi in un’ulteriore causa di fermo da attività quotidiane. Ho deciso quindi di eseguire solo un rilascio globale dell’ortosimpatico, facendola giacere supina sul lettino. Questo non avrebbe comportato per lei nemmeno fatica nell’essere trattata, cosa che se avessi impostato il lavoro su catene miofasciali direttamente avrei dovuto spostarla più volte durante la seduta. E. però presentava anche un altro problema che lei non lamentava ma che per abitudine professionale ho notato subito: la voce impastata, disartrie e dislalie importanti. L’enorme rigidità delle sue strutture rendevano a volte impossibile la comprensione della parola. Ho incluso quindi nel trattamento un lavoro specifico fasciale sugli articolatori. Al momento E. è in cura da me da circa 5 mesi, non cade più (cosa che avveniva precedentemente per enorme rigidità delle catene posteriori) e non fa fatica ad essere compresa, soprattutto al telefono, apparecchio che molto spesso altera i suoni. Dopo i primi due tentativi di trattamento che abbiamo impostato una volta al mese, abbiamo trovato che la sua cadenza ideale è un trattamento ogni 15-20 giorni. Questa regolarità le permette di non dover venire da me troppo spesso e beneficiare dei risultati del trattamento senza mai regredire. L’obiettivo finale è portarla ad uno stato di ulteriore autonomia in modo da poter diluire ulteriormente le sedute senza farle perdere i benefici.
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